
Sempre più spesso, oggi, sentiamo parlare di turismo virtuoso.
Ma cosa si nasconde dietro questa definizione e come possiamo -davvero- metterne in pratica i principi?
Soprattutto, esiste un modello in grado di coniugare gli interessi di tutti i soggetti coivolti?
Cosa si intende per turismo virtuoso
Partiamo dalla definizione.
Nella dicitura turismo virtuoso rientrano una serie di sotto-definizioni, ognuna delle quali si rifà a uno specifico segmento di mercato.
Ad esempio, troviamo:
- il turismo green
- il turismo accessibile
- lo slow tourism
Mettendo insieme tutte queste nicchie, ne viene fuori che il turismo virtuoso è un modello caratterizzato dai principi di etica, responsabilità e sostenibilità. Ognuna di queste micro aree, poi, si applica tanto al territorio -o destinazione- quanto alle comunità coinvolte dal fenomeno turistico.
Il turismo è un settore in continuo cambiamento
Partiamo da un presupposto.
Il turismo è ormai un fenomeno globale, che continua a cambiare seguendo gli eventi internazionali -è chiaro che un conflitto modifica la percezione di sicurezza di una determinata zona- ma anche la situazione sanitaria. Lo abbiamo visto molto bene con il Covid. Senza dimenticare, poi, i trend del momento che influenzano non di poco la domanda.
Tale fenomeno modifica profondamente il tessuto non solo economico, ma anche socio-culturale dei luoghi, ovvero delle destinazioni in cui il turismo viene consumato.
Un modello che non è più sostenibile
Da qualche anno, ormai, gli operatori del settore sembrano aver preso coscienza della necessità di proporre un modello alternativo rispetto a quello attuale, incentrato sul consumismo.
Consumismo che spesso prosciuga i luoghi senza apportare alcun beneficio alle comunità locali.
L’errore in cui si rischia di cadere, però, è una banalizzazione di tale necessità. Non si tratta meramente di rispettare il Pianeta. Senza una reale comprensione del problema, si rischia di fare più danno che altro.
Chiaramente, il rischio è tanto più alto quanto lo sono gli interessi in gioco, soprattutto quando c’è la presenza di un conflitto tra questi interessi.
Perché è innegabile che, purtroppo, il modello proposto a partire dalla metà degli anni ’90, è proprio quello che apporta i maggiori introiti ai colossi del settore.
Turismo virtuoso: oltre il modello dei villaggi turistici
Entriamo nel concreto e analizziamo brevemente i pacchetti All-Inclusive, che si vendono tanto bene sul mercato.
Un turismo “tutto compreso” nei resort turistici

Tale modalità di fare turismo, da un po’ di tempo a questa parte, ha smosso più di qualche dubbio, alimentando la diatriba, apparentemente senza soluzione, tra turisti e viaggiatori.
Tralasciando i dettagli di questa distinzione, che non servono a risolvere il problema, si può affermare tranquillamente che il mondo dei pacchetti All-Inclusive è diffuso prettamente in Occidente. Vale a dire, nei Paesi del Nord del Mondo, dove l’identikit di chi viaggia assume caratteristiche ben precise:
- pochi giorni di ferie concentrati in periodi ristretti dell’anno, di solito a Natale e in estate;
- la necessità di staccare e dunque di evadere dalla quotidianità;
- il desiderio di concedersi esperienze apparentemente fuori dal comune, senza uscire dalla propria zona comfort.
Alla luce di questo, appare chiaro come il turismo dei pacchetti All-Inclusive rappresenti la soluzione perfetta a questo tipo di consumatore che vede nel villaggio turistico la massima realizzazione dei suoi desideri.
Il paradosso dei villaggi turistici
Funziona in questo modo.
Si sceglie una destinazione, possibilmente esotica, si atterra all’aeroporto locale e ci si infila in uno di quei villaggi dove la realtà si appiattisce e dove tutto è uguale in tutto il mondo.
Poco importa in questo caso il livello del servizio. Può essere un family hotel o un resort di lusso, le caratteristiche sono sempre le stesse.
Stanze dotate di ogni comodità, ristorante italiano -al massimo compaiono un paio di proposte presentate come esotiche- piscina e intrattenimento serale.
Durante il soggiorno, che di solito è suddiviso in settimane, grazie ai voli charter che fanno la spola tra i vari Paesi, si esce al massimo una o due volte per le escursioni programmate nei luoghi clou, quelli turistici da cartolina che vale la pena condividere sui social network. Senza mai perdere di vista la guida che si limita a spiegare qualcosa sulla storia locale.
Così, l’esperienza si consuma nell’illusione di visitare un Paese esotico, senza davvero entrare in contatto con le usanze locali e la gente del posto.
Chi usufruisce di tali pacchetti torna a casa senza il minimo arricchimento e a guadagnarci sono solo i colossi del settore. Perché nemmeno un euro finisce nelle tasche delle comunità locali, che si vedono sottratto il loro territorio senza ricevere il benché minimo vantaggio da questo modello consumistico.
Spattacolarizzare la realtà
L’altra caratteristica di un turismo mordi e fuggi nei Paesi esotici si intreccia alla spettacolarizzazione della realtà.
Questo avviene in diversi modi e tutti si nutrono di stereotipi, contribuendo ad aumentarli fino a creare un circolo vizioso.
Fotografie inappropriate

Pensiamo all’Africa. Tutti sanno che esistono indubbiamente situazioni di estrema povertà, eppure sembra impossibile riuscire a generalizzare un continente in questo modo.
L’Africa non è solo povertà, ci sono realtà molto variegate e città modernissime. Lo dimostrano gli investimenti delle grandi aziende che sempre più spesso vi orientano i loro interessi commerciali e i tantissimi europei che che decidono di stabilirvisi creando un business tutto loro.
Eppure, spesso si vedono turisti che usano il cellulare con una violenza inaudita, scattando selfie al limite della decenza, sorridenti davanti alle scene di povertà. Oppure persone locali fotografate senza il loro permesso, nemmeno fossero animali da circo.
Questo è un turismo che ruba l’identità e che alimenta lo sfruttamento delle risorse di un’Africa che oggi più che mai è in cerca di riscossa.
Una riscossa che però non può avvenire a meno che non cessi subito questo modello di turismo basato su uno show che di reale ha molto poco. Perché la realtà è fatta di persone in carne e ossa, che hanno una dignità e che va a tutti i costi rispettata. Persone che si portano dietro una storia fatta di ambizioni, speranze, e una cultura, con la quale solo se si entra in contatto è possibile parlare di esperienza e, dunque, scambio e arricchimento. Entrando nelle loro vite in punta di piedi, con il massimo rispetto di quella vita e di quella realtà.
Questo avviene solo smettendo di guardare il mondo alla luce dei tipici standard occidentali, standard che presuppongono che tutto sia dovuto al ricco turista in cerca di facili emozioni.
Recite a uso e consumo dei turisti

L’altro modo in cui avviene la spettacolarizzazione è forse ancora più subdolo e non per questo meno violento. In questo caso, le grandi aziende del settore turistico hanno una responsabilità diretta.
Avviene quando, con la scusa di far conoscere ai turisti le tradizioni locali, si organizzano costose escursioni dove si inscena, come in una recita, la tradizione locale. Canti e balli popolari al termine dei quali viene servita la cena, ancora una volta in un modo che è totalmente scollegato dalla realtà.
Partecipare a uno spettacolo a pagamento, seduti su comode sedie refrigerati dall’aria condizionata, non significa affatto conoscere le tradizioni locali.
Il coraggio di dire no: Gaia e Ntoyai
Un esempio di impegno diretto e di coraggio nel ribellarsi a questo sistema malato, proponendo un turismo etico e responsabile, arriva direttamente da Instagram. Il tutto grazie a Gaia Dominici, una giovane donna italiana che vive nella savana da quando ha sposato Ntoyai, un guerriero della tribù dei Masai.
Gaia e Ntoyai -che sono su Instagram con il nome Siankiki- sono un vulcano di idee e proprio per promuovere un turismo rispettoso, qualche tempo fa diedero vita a Terre del Kenya. Da alcuni mesi hanno annunciato lo stop di questo progetto, in quanto le loro convinzioni si sono scontrate con una realtà che non li rappresenta e un modo di fare turismo che di etico e rispettoso ha ben poco.
Questo a dimostrazione che c’è ancora molto su cui lavorare. Il primo passo, tuttavia, è proprio intervenire su una mentalità profondamente sbagliata, di cui Gaia si fa spesso portavoce.
Come creare un modello di turismo virtuoso?
Eppure, da tutto questo se ne esce, a patto di creare un’offerta turistica etica e sostenibile, capace di regalare esperienze reali, senza svilire o danneggiare l’autenticità e la dignità delle comunità locali.
Affrontare tutto questo significa rifiutare un sistema privo di etica, teso alla massimizzazione del profitto e allo sfruttamento del territorio.
Le grandi multinazionali del settore devono necessariamente dialogare con gli Enti turistici locali. Le varie forze devono scendere in campo dando spazio agli esperti del luogo: guide turistiche, interpreti, artisti, direttori di musei e siti storici, associazioni culturali e a difesa dell’ambiente, host e ristoratori autoctoni.
Costruire un modello di turismo virtuoso significa interagire davvero con le realtà locali. Soprattutto, pagando il prezzo adeguato per i servizi di cui si usufruisce. Perché un mercato sano, in un’economia che funziona, comporta benefici per entrambe le parti. Altrimenti, parliamo di sfruttamento e questo nulla ha a che vedere con il turismo virtuoso.